Il mostro verde

No, non è il Grinch.
Anche se sarebbe bello avere qualcuno da incolpare per il mancato spirito natalizio che colpisce gli adulti sempre più disillusi.
Il mostro verde che intendo io è l’invidia.
Ma non quella che provano le persone – più o meno consapevolmente – io mi riferisco all’invidia presunta.


Dice Santa Wikipedia:

Il termine invidia […] si riferisce a uno stato d’animo o sentimento per cui, in relazione a un bene o una qualità posseduta da un altro, si prova spesso astio e un risentimento tale da desiderare il male di colui che ha quel bene o qualità.

Questa puntualissima definizione sottintende che la persona oggetto di questo sentimento possa sentirsi legittimata a etichettarlo, lucidarlo ed esporlo come un trofeo del suo successo, al grido di “tanti nemici, tanto onore“.
Io posso parlare soltanto per me stesso e posso dire con totale serenità che io non sono una persona invidiosa.
Mai.
Mai stato.
Se lo pensate, sbagliate.

Provo sincera ammirazione per chi raggiunge qualsiasi traguardo nella vita distinguendo nettamente la mia asticella dalla sua. Per dire che sono felicissimo per mio nipote di 13 mesi che fa i suoi primi passi aggrappandosi allo stipite della porta, ma con la felicità stampata in viso.
Pur camminando da molto tempo con altalenante stabilità, non invidio né il suo traguardo né la sua gioia.

Allo stesso modo non credo che un’opinione negativa su una persona di successo sia automaticamente sintomo di rosicamento acuto. In un paese dove la meritocrazia è raramente un’ingrediente della mistura del successo, dire “sì, ma non se lo merita” è un riconoscimento Denominazione Origine Verificata? Sono un invidioso certificato se critico una persona di successo?
No, non credo.

Per due fattori. Il primo richiede che io debba essere insoddisfatto della mia vita, cosa che non sono. Nonostante io possa non aver raggiunto traguardi eccelsi nel mio lavoro, non mi ritengo frustrato da ciò. Se chiedi a un bambino cosa vuole fare nella vita uno stregone risponderà sempre “conquistare il mondo”, mentre io mi sono sempre immaginato gli stregoni felici e realizzati anche solo nel riuscire a tenere in vita un ficus benjiamin. Nessuno può stabilire la tua scala del successo, quale traguardo sia più giusto per te, allo stesso modo in cui non posso guardare con sufficienza mio nipote perché muove il primo passo traballante mentre io da anni faccio già le scale due a due.
Venendo meno la frustrazione personale, credo che anche l’accusa di invidia ne venga debitamente intaccata.

Il secondo fattore è l’augurio di malasorte. Anche se muovo una critica negativa io non auguro a nessuno di perdere tutto quello che ha conquistato, perché non sono sicuro come funzionino il Karma o la Giustizia Divina o i Capricci degli Dei e, nel dubbio, non getto alcun combustibile sulle Sacre Fiamme del Fato.
Ancora meno sono convinto che il fallimento altrui possa rafforzare o agevolare il mio. È un’affermazione forte e coraggiosa, a tratti scomoda, ma necessaria.

Per cui, quando una persona mi dà del rosicone, a me viene da sorridere, non perdo neanche tempo prezioso a guardarmi dentro, non serve. Io so quale sentimento ha mosso quella critica e non è mai l’invidia.
L’invidia presunta mi suona sempre come un alibi per nascondere la propria insicurezza, la poca stabilità che temiamo abbia il successo raggiunto e l’incapacità di fare spallucce, aggrapparsi allo stipite successivo e andare per la nostra strada.

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