Se avessi visto prima il film e solo dopo letto il libro, probabilmente lo avrei abbandonato, l’avrei trovato superfluo. Con la massima presunzione posso dire che Guadagnino ha raccontato la storia che Aciman ha provato a scrivere ma si è perso nel farlo.
Tutto quello che accade fra Elio e Oliver, un profondo rito di iniziazione a quell’amore adolescenziale tragico e indimenticabile, risiede nel non detto, negli sguardi, nei silenzi e nelle parole dietro le parole qualsiasi.
Amore che viene mostrato in modo eccellente da Guadagnino, ma annacquato da Aciman.
Il romanzo di “Chiamami col tuo nome” è carico, strabordante, pacchiano. Aciman, nel tentativo di dare spessore ma anche emozione spicciola alla sua creatura, la infarcisce di orpelli inutili. In quelle pagine c’è tutto, convive a fatica tutto: da Eraclito al tramonto sulla spiaggia, dagli scogli dei pensatori alle riflessioni proustiane sulla mancanza, dalle disquisizioni filologiche alla cacca nel water condiviso.
È tutto così stucchevole e lucido, quasi barocco, che stride con la semplicità e la purezza del sentimento che lega i due protagonisti.
È come se installassero un asilo a Versailles.
Guadagnino ha sfrondato quella costruzione, ha reso tutto più silenzioso, più buio, più dissestato. Ha messo il cremasco al posto della riviera ligure, ha messo il fiume – metafora molto amata da Eraclito – al posto del bagnasciuga con le impronte della corsa mattutina o le passeggiate al tramonto.
Stilisticamente il film ha quell’asprezza, quelle sbavature che ben si addicono a una storia così imperfetta, proibita, sospesa. Le inquadrature sono spesso asimmetriche, fuori fuoco, tagliate. La fotografia predilige il buio e il sole che getta ombre nette sui visi. Le musiche sottolineano l’essenziale e sono esse stesse essenziali, pochi accordi, pochissimi pezzi musicali, qualche nota nuda di piano qua e là. Tutto prende vita nel silenzio. Perfino il finale, con il lungo primo piano di Elio in lacrime davanti al fuoco, è lasciato ad esso. Le luci si riaccendono così, con la sala muta e la sensazione di aver assistito a una storia intensa e destabilizzante in tutta la sua cruda verità.
Sembrerebbe quasi un elogio alla fluidità, i personaggi non fanno mai parola dell’orientamento sessuale reciproco, pur trovandoci in quegli anni ’80 così controversi e rivoluzionari, non si parla mai di gay, etero, bisessuali, non si parla proprio, si assiste inermi a questo sentimento che sboccia sullo schermo e riempie le giornate di Elio, abbattendo la cautela di Oliver.
Inutile dire che consiglio di vedere il film perché ero in una sala di ultrasessantenni e nessuno ha battuto ciglio di fronte alla naturalezza con cui Guadagnino ha raccontato questo amore adolescenziale, senza insistere su alcuna scena spinta o pruriginosa.
Se decidete di leggere anche libro, il mio consiglio è confrontarli e capire quando troppe parole, in scrittura, uccidono una grande storia universale.