La Misura di sé

Migliaia di pagine, righe di testo virtuali, massime e articoli cercheranno sempre di dire quale sia la caratteristica principale di uno scrittore. Talento? Unicità? Tecnica? Stile? Perseveranza?
La centomila e unesima è la mia: la misura di sé.

Per quanto possa essere difficile da accettare per chiunque si ritenga uno scrittore baciato dalle Muse, scrivere non è un bisogno primario dell’essere umano, così come – e ne danno tristemente annuncio le statistiche – leggere.
Per cui mettiamoci l’anima in pace: pochi, pochissimi e forse nessuno di noi scriverà mai un libro che cambierà il mondo, le coscienze o la società.
Qualcuno sarà in grado di dare alla luce un’opera che forse cambierà la vita di qualcun altro.
Forse.
Molto più probabile che sarà una storia per passare il tempo tra una dormita e un’altra, una pausa caffè e l’altra o tra un aggiornamento di status e l’altro.
Nel momento in cui saremo davvero in grado di accettare questa durissima realtà, intraprenderemo la strada verso la consapevolezza e quindi la misura di noi stessi.

Da questo punto di svolta si potrebbe stilare una classifica dei peggiori scrittori tutta nuova, dove non troveremmo in cima i tanto bistrattati Volo o Moccia, anzi! Sarebbero tra gli ultimi posti, perché loro, la misura di se stessi, ce l’hanno eccome.
Scrivono storie che soddisfano i bisogni del loro pubblico e del commercialista, forse sanno – spero – che non saranno mai candidati al Nobel per la Letteratura e, pensate un po’, gli sta anche bene.

Leggo e sento raccontare diatribe infuocate su scrittori che si danno addosso sui social “perché io ho il fuoco e tu no”.
Sono tutte baggianate.
Le nostre storie vengono da una pulsione? Perfetto!
Ma non raccontiamoci che “il mondo non può farne a meno” perché non è così.
Le persone non hanno bisogno dei nostri romanzi, è più facile che siamo noi ad avere la necessità di rifilarglieli.
Che c’è di male? Niente!
Ma per essere davvero utili, bisogna realizzare che non lo siamo.
Questo è quello che penso.
Perché le storie importanti, significative, che entrano nel profondo dei cuori dei lettori, scuotono le fondamenta dei loro credo, non nascono dal fuoco ma dalla cenere.
Solo dopo che abbiamo bruciato la vita, le vite degli altri, chilometri di strada, notti bianche, sorrisi, lacrime e abbiamo capito che c’è qualcosa in fondo a tutto ciò che potrebbe diventare una storia allora, forse, se la scriviamo bene, potremmo dare uno scossone a qualche coscienza.

Altra dura realtà da assimilare è che non tutti siamo destinati a scrivere quel tipo di storie. Ci sono stati, ci sono e ci saranno scrittori geni che producono opere significative e immortali, ma sono rarissimi, in cima alla piramide che Stephen King descrive nel suo On Wrinting.
Quindi, non corrucciatevi se non si parla molto in giro del vostro romanzo, se non ha l’attenzione che immaginavate, se un lettore ne era entusiasta e dopo una settimana parla con lo stesso entusiasmo di un libro del tutto diverso dal vostro.
Si può vivere una vita intera senza storie.

Un bravo scrittore che ha realizzato l’inutilità delle sue opere, saprà quando spegnere il PC e uscire a fare due passi, o cancellare tutto e ricominciare.
Qualcuno mi ha detto che sono i lavori più inutili che vanno fatti meglio di tutti gli altri.

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