I dream of Jeannie 1×01: Maria Silvia Avanzato

1302Il post di questa categoria – la scrittura – apre e chiuderà la serie, perché di scrittori geniali ne conosco diversi e ho preferito soffermarmi su aspetti più peculiari e recenti.
La prima in ordine di apparizione è Maria Silvia Avanzato, una scrittrice bolognese recentemente uscita con il romanzo Crune d’aghi per cammelli, edito da Fazi.

La storia è presto detta: una scrittrice fallita cerca disperatamente di essere pubblicata da un grande editore. Ricorre a mille espedienti, le sue avventure sono spassose e le situazioni in cui va a cacciarsi sono al limite del grottesco.
Ho trovato la genialità di Maria Silvia Avanzato nel tratteggiare i personaggi con poche e semplici descrizioni, dettagli precisi come proiettili, ma che colpiscono nel segno.
Geniali sono anche molte situazioni comiche che dipingono un jet set letterario ai limiti del demenziale e le scene comiche con risvolti che non ti aspetteresti mai.
Ogni aspirante scrittore è stato nella sua esperienza un po’ Edgarda Solfanelli, anche chi non lo ammetterebbe mai. Si inizia con una visione velleitaria e utopica della scrittura e già al terzo romanzo realizzi cosa vuol dire scrivere davvero: raccontare per il gusto di farlo e soprattutto scrivere, scrivere e riscrivere.
Non per soldi, per la fama, i viaggi o il successo.
No, Edgarda Solfanelli l’ha imparato a sue spese e sbattendoci il muso.
Crune d’aghi per cammelli è molto più di questo. E’ un ritratto al vetriolo dell’editoria italiana, fatta di personaggi ambigui e sopravvalutati, di aspiranti spocchiosi e ammiratori esaltati senza la minima concezione della realtà.
La genialità di Maria Silvia Avanzato risiede nella sua autorionia, nell’aver saputo raccontare una storia di nicchia rendendola universale nei settori ma nazionale nelle meccaniche, familiare.
Finisci per parteggiare per Edgarda, a sperare che riesca effettivamente a scrivere il romanzo da un milione di copie che vorrebbe, ben sapendo che non lo merita affatto, perché è sciatta, svogliata, cinica e maldestra. Il suo unico talento è la perseveranza nello sbagliare strategia e nell’intraprendenza a testa bassa.

Ma facciamo qualche domanda all’autrice:

Maria Silvia, Perché scrivi?
Perché ho la presunzione di avere cose da raccontare.

Chi è, per te, uno scrittore geniale?
Janet Frame, scrittrice neozelandese. Timida e segregata in un mondo di fantasia, è stata giudicata schizofrenica e rinchiusa in un ospedale psichiatrico. Ha subito tantissimi interventi di elettroshock, ha continuato a scrivere nel buio di una stanzetta, ha vinto un premio letterario che ha aperto gli occhi ai medici. Giudicata sana, è tornata nel mondo. Il suo libro l’ha salvata.

Come ti è venuta l’idea di Crune d’aghi per cammelli?
Avevo messo per iscritto qualcosa che “piacesse a un editore”, editore che conosco. Speravo di compiacerlo e gli mandavo qualche paginetta. Il suo giudizio è stato “illeggibile”. Così ho abbandonato il mio proposito, ho lasciato le mie poche pagine a marcire nel pc. Un anno dopo le ho ritrovate, le ho rilette, le ho giudicate “illeggibili”. Ho riscritto il libro da capo e stavolta l’ho scritto per tutti. Non per un editore.

Come costruisci una scena che risulta comica ai limiti del grottesco?
Mettendomi a ridere un attimo prima di scrivere. Penso, per assurdo, “e se adesso facessi capitare questo?”. Rido da sola. Non posso, non posso far capitare questo. Quindi faccio in modo che capiti.

La descrizione di Lavinia mi ha colpito è così reale e allo stesso tempo comica. Chi rappresenta o cosa?
Lavinia non esiste, non è reale, è uno dei pochi personaggi che non trae ispirazione da nessuno in particolare. Ma si porta appresso il carico schiacciante di una vita misera di emozioni e una grave penuria di sentimenti. Così idealizza un’estranea e le dedica ogni sua attenzione, rincorre un’amicizia che non c’è e si illude di appartenere alla vita altrui. Lavinia è ciascuno di noi, quando si sente solo.

Edgarda chiaramente si sovrastima come scrittrice e solo quando realizza che non deve essere diversa da quello che è riesce a realizzare il suo sogno. Quanto è importante per uno scrittore essere fedeli a se stessi?Credo si possa mantenere questa fedeltà di fondo, è una costante, ma è necessario non arroccarsi disperatamente nelle proprie idee. Ci vuole molta elasticità. Le occasioni vanno colte e le ispirazioni vanno ascoltate, ma ritengo che l’editoria sia fatta anche di compromessi. L’immagine dell’autore che si blinda in un genere o in una definizione, quello che non accetta la critica e si ritiene “perfetto in partenza” è un po’ donchisciottesca. Siamo qui per sperimentare e crescere, faccenda che anche la “grande” Edgarda Solfanelli si rassegna a comprendere.

Quanto della vita reale uno scrittore può integrare nei suoi scritti senza rischiare di essere autobiografico?
Una volta ho scritto un romanzo che vedeva protagonista un quarantenne psicopatico di nome Ivo: mi hanno chiesto se fosse un libro autobiografico. Non importa se riversi tutto te stesso sulle pagine o se scansi attentamente gli affari tuoi, purtroppo. Mi sto rendendo conto che si tende a vedere autobiografismo ovunque. Io scrivo di cose che vedo attorno a me, di cose che conosco bene.

Che tipo di arma rappresentano per te l’ironia e il sarcasmo?
Una volta ho sentito dire “il sarcasmo è il cugino cattivo dell’ira”. Non è del tutto falso, a mio avviso. Sia l’innocente ironia che il più tagliente sarcasmo, sono espedienti per dire la verità. Sono due modi di sorridere amaramente, dicendoti qualcosa fra i denti.

In che percentuale questi ingredienti fanno di uno scrittore uno scrittore geniale (non un genio)?
Inventiva 50%,
ci sono idee profondamente banali che hanno stregato intere generazioni per come sono state raccontate.

Tenacia 100%

Talento 50%,
sarebbe bello rispondere 100%, ma non credo sia esattamente il primo requisito per pubblicare un libro, oggi.

Tecnica Percentuale Ignota.
Quella si costruisce, col tempo.

Autoironia 150%,
bisogna averne tanta per restare ancorati al suolo.

L’aspetto più geniale del tuo romanzo secondo me sono le descrizioni dei personaggi che non sono stereotipi ma archetipi di un’umanità caricaturale e allo stesso tempo reale. Il tuo romanzo mi ha spinto a indagare su tutte quelle persone che mi circondano e me stesso in primis e a chiedermi quanto il voler scrivere mi abbia cambiato. Come ha cambiato le persone intorno a te e quando e come una persona diventa un personaggio?
Io credo che alcuni siano involontari personaggi. Prendete il ragazzo bellissimo e consapevole della sua bellezza, quello che si specchia nelle vetrine e si ravvia spesso i capelli. Ecco. Magari è un giovane profondo, magari è vittima di uno stupido pregiudizio, magari è schiavo della sua immagine. Ma se me lo ritrovo davanti, state certi, finirà sulla carta. A me piace esagerare, pompare alle stelle un difetto e ingigantire le paure, rendere colossali le figuracce e giocare con le zone d’ombra del prossimo. Il popolo dei miei personaggi è colorato, grottesco, aggressivo, demenziale. Io mi diverto fra questi mostri.

Avete capito ora perchè la trovo geniale? Grazie Maria Silvia.

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